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La trasformazione del Jihad in Europa. Profili psicologici e dottrinali

Su Analytica for intelligence and security studies è uscito il mio paper scritto insieme a Giulio Tatoni, con le fonti fornite da Daniele Garofalo, dal titolo “LA TRASFORMAZIONE DEL JIHAD IN EUROPA. PROFILI PSICOLOGICI E DOTTRINALI”. In corso di analisi abbiamo profilato lo stragista di Reading mettendolo a confronto con Usman Khan.
A questo link potete scaricare l’intero paper 
https://www.analyticaintelligenceandsecurity.it/ricerca-e-analisi/la-trasformazione-della-jihad-in-europa-profili-psicologici-e-dottrinali/
 
Tra la fine del 2019 e la prima metà del 2020 si sono registrati in Europa diversi attacchi condotti contro i cosiddetti “soft target”, bersagli poco rilevanti dal punto di vista tattico, ma di grande impatto psicologico, utilizzando armi da taglio e strumenti di uso quotidiano per infliggere danni, uccidere e scatenare il terrore nella popolazione civile.
Immediatamente nella comunicazione mediatica e nella visione della popolazione, l’ombra del Jihad è nuovamente piombata sul Continente, gettata dalle rivendicazioni delle organizzazioni jihadiste e dagli atteggiamenti estremisti dei fautori di tali attacchi.
 
In questi, come in molti altri episodi, le autorità sono state assai incerte sulla definizione di questi aggressori, indicati come “terroristi”, “lupi solitari”, “killer di stampo terroristico”, non riuscendo tuttavia a racchiudere in un solo termine tutto ciò che può definire questi “nuovi jihadisti”, i quali compiono azioni assai similari per effetti, ma estremamente differenti per criteri, moventi e capacità.
 
Il punto in comune più evidente è costituito proprio dagli obiettivi e dalle armi utilizzate da questi attentatori: i comuni passanti risultano più facili da avvicinare e colpire, anche se meno premianti di un’autorità, e gli strumenti che meno possono destare sospetti sono forbici, coltelli, automobili o furgoni. Il “soft target” è dunque un obiettivo di scarso valore, ma che non richiede una particolare pianificazione da parte dell’attentatore, né una particolare organizzazione logistica e una precisa attività di cellula; l’assaltatore, dunque, può pianificare, armarsi e agire da solo, senza avere nessun tipo di dipendenza da altri terroristi.
 
Il “soft target” dunque, ingaggiabile sia da un gruppo di terroristi che da un elemento che agisce al di fuori di qualsiasi organizzazione, può rendere difficile valutare il confine tra essere membro di un’organizzazione terroristica e uno dei così chiamati “lupi solitari”, i quali spesso si rivelano elementi affetti da precisi disturbi mentali.
Comprendere il confine tra queste due categorie di attori è essenziale per contrastare la minaccia di attacchi, che sfruttano ampiamente e con sempre maggior frequenza le risorse dei social network.
Queste, nel caso delle organizzazioni terroristiche, hanno creato una vera comunicazione orizzontale tra i vari gruppi jihadisti, che oltre ai normali rapporti gerarchici, si avvalgono di relazioni parallele con cellule aderenti ad altre organizzazioni per pianificare e condurre attacchi.
 
Nel caso l’attentatore sia un elemento isolato, è riscontrabile come egli potenzialmente possa, attraverso i social, aver ricevuto disposizioni dettagliate o semplici lineamenti di azione per condurre il suo attacco. In diversi casi, tuttavia, la rete non è servita solo come canale dove i “lupi solitari” potevano ricevere ordini di vario genere, ma come una vera e propria scuola di indottrinamento, dove il novello jihadista poteva reperire anche precise istruzioni tecniche e pratiche su come organizzare e condurre un attacco.
 
Nei casi esaminati, ad ogni modo, il Lupo Solitario risulta essere una persona che sfrutta le grandi informazioni presenti sui social per preparare a compiere un’azione che nella maggior parte dei casi non viene conosciuta né approvata ufficialmente dalle organizzazioni terroristiche in senso stretto; in soggetti psicopatologici, i fenomeni di depersonalizzazione e di derealizzazione risultano molto forti attraverso l’utilizzo dei social network. Ciò significa che ciò che viene chiamato Lupo Solitario spesso è un emule, che agisce per svariati motivi legati ad un disagio psicologico o ad uno stato mentale.
 
L’obiettivo del paper scritto da Cristina Brasi e Giulio Tatoni, seguendo le fonti fornite da Daniele Garofalo, è quello di fare luce sulla linea d’ombra che separa l’attentatore isolato dal terrorista in senso stretto, descrivendo al contempo l’evoluzione degli attentati in Occidente, i rischi derivanti dall’utilizzo dei social network e i potenziali contrasti all’impiego della rete da parte di organizzazioni terroristiche ed emulatori.
21 Giugno 2020/da Cristina Brasi
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